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CENTO MILIONI DAI CORRENTISTI PER I SALVATAGGI BANCARI

Dopo i 350 milioni di bond subordinati targati Banca Etruria, Banca delle Marche, CariChieti e CariFerrara finiti polverizzati nelle mani dei risparmiatori, ora altri 100 milioni di quel salvataggio così salato e discusso stanno per essere scaricati sulle spalle di 4,5 milioni di correntisti. In questi mesi, infatti, scattano i rincari dei costi di tenuta dei conti correnti presso il Banco Popolare, Ubi e Unicredit, giustificati con i contributi versati da tutte le banche al Sistema di garanzia dei depositi (che garantisce i conti fino a 100 mila euro) e al Fondo nazionale di risoluzione. Per questi tre istituti un tale aggravio di costi costituisce un “giustificato motivo per un aumento” dei canoni mensili o annuali di tenuta dei conti correnti. I maggiori costi sono stati comunicati, come prevede la legge, da Banco Popolare, Ubi e Unicredit alla propria clientela attraverso lettere allegate o comprese negli estratti conto. Il Banco scrive che i contributi da essa versati nel 2015 sono stati pari a 152,1 milioni, di cui 113,9 non ricorrenti e 38,2 ricorrenti e che la banca “ha necessità di mitigare detto esborso”. Infatti con il prelievo una tantum di circa 25 euro che verrà trattenuto a fine anno sulla gran parte dei conti di privati e imprese (circa 1,5 milioni di posizioni) la banca rientrerà di circa 30 milioni di euro. Per Ubi, invece, l’esborso previsto per il 2016 per i contributi dovuti ai due fondi è pari a 53,1 milioni “con conseguenti riflessi sui costi di gestione dei rapporti il cui originario equilibrio economico risulta per tale effetto alterato”. Quindi, dal primo ottobre, i conti di circa 3 milioni di clienti saranno caricati di 12 euro in più all’anno (persone fisiche) o anche 24 euro (persone giuridiche). Unicredit va invece a toccare – adducendo ben sei motivazioni diverse tra cui il Single resolution fund – solo le modalità Silver, Gold e Platinum del conto Genius, circa 100 mila posizioni, con aggravi dei canoni mensili di 1 o 2 euro. Il fenomeno al momento sembra limitato a questi tre istituti ma l’elevato numero di correntisti toccati da questi provvedimenti, circa 4,5 milioni, induce a temere che la manovra possa allargarsi nei mesi futuri. Da una prima ricognizione compiuta da Repubblica presso le principali banche italiane risulta che Intesa Sanpaolo, Bnl Paribas, Cariparma, Bpm, Monte dei Paschi, Bper, Credem, Fineco, Che Banca!, Creval, Deutsche Bank, Popolare di Vicenza, Bancoposta, hanno tutte dichiarato ufficialmente di non aver aumentato nel corso del 2016 i costi sui conti correnti a causa della partecipazione ai Fondi di risoluzione e Tutela dei depositi. La Vicenza ha però fatto sapere che per il futuro sta valutando questo tipo di provvedimento mentre Deutsche potrebbe tra qualche mese ritoccare i costi di alcuni conti a causa dei forti investimenti sostenuti per la sicurezza. Per Conto Bancoposta Più c’è invece stato un rincaro di 0,40 euro sul costo di domiciliazione delle bollette dovuto a una promozione scaduta ma solo per alcuni fatturatori. In ogni caso, sulla spinta di diverse proteste ricevute da correntisti del Banco Popolare, le associazioni dei consumatori hanno preso carta e penna e scritto alla Banca d’Italia, al viceministro dell’Economia Enrico Morando e all’Abi, sostenendo che “il motivo apportato dalla banca per una maggiorazione così consistente non possa essere considerato “giustificato” e “congruo””. Perché i correntisti di una banca solida come il Banco Popolare devono pagare il “Salvabanche” applicato a 4 banche in crisi?, si domandano le Associazioni nella lettera. E quindi, per legge, se manca il giustificato motivo la variazione non è efficace. La Banca d’Italia, dal canto suo, il 29 settembre scorso ha fatto sapere che: “Stiamo osservando con attenzione il comportamento di alcune banche nel ribaltare sulla clientela dei depositanti e dei correntisti i costi sostenuti per effetto delle crisi bancarie. Le norme sono più tutelanti in Italia che in molti altri Paesi nei confronti dei clienti delle banche e prevedono che una banca possa, sì, cambiare le condizioni contrattuali di deposito o conto corrente, ma solo se vi è un giustificato motivo e seguendo una procedura trasparente e informando adeguatamente il cliente per consentirgli di fare le proprie valutazioni (ed eventualmente recedere)”.
L’Adico ricorda che l’unica vera arma in mano ai risparmiatori è quella di chiudere il conto e cambiare banca, scegliendo un istituto più soddisfacente sotto il profilo dei costi. La legge dà infatti 60 giorni di tempo al correntista per recedere, e se lo fa entro questo termine non dovrebbe incorrere in spese. Anzi, per la banca vi è obbligo di trasferire i soldi al nuovo conto entro 12 giorni lavorativi dalla firma del modulo. Ma questa procedura rapida vale solo per il trasferimento dei contanti mentre nella maggior parte dei casi a un conto corrente è associata la domiciliazione delle bollette, le carte di credito,la rata del mutuo, che richiedono tempi ben più lunghi per essere trasferiti. Ecco perché cambiare banca di frequente per un qualsiasi cliente è un esercizio faticoso, non è facile come cambiare supermercato. E questa farraginosità gioca a favore delle banche.

di GIOVANNI PONS

Una risposta

  1. Io sono cliente del Banco Popolare di San Marco e mi è giunta una lettera dalla banca in cui mi si comunica che a partire dal 1 gennaio p.v. i costi bancari mi addebiteranno una quota (sembra sia una tantum) di 25,00 € finalizzata al salvataggio bancario.
    Quando ho chiesto informazioni di persona presso la banca ho percepito una sorta di difficoltà per recedere dal conto, del tipo “deve portare subito copia della lettera, poi il direttore deciderà (?), ma deve fare presto perché i tempi sono lunghi…”.
    Strano, perché la lettera di cui si chiede copia parla della possibilità di recesso dal conto senza spese entro il 31 dicembre. Se poi veramente i tempi sono lunghi è un problema che deve risolvere la stessa banca.

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