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NULLITA’ CARTELLE DI PAGAMENTO: LE SENTENZE DELLA CASSAZIONE

Dall’omessa indicazione dei criteri di calcolo degli interessi all’errato calcolo della prescrizione, dall’insufficiente motivazione all’assenza degli estremi del nome del responsabile del procedimento, dal vizio di notifica alla mancata conservazione delle ricevute di ritorno: i vizi che affliggono e rendono nulle le cartelle esattoriali sono sempre numerosi. E se anche è possibile contestare una cartella solo per vizi propri, i ricorsi alla Commissione tributaria sono sempre numerosi.

In questo articolo abbiamo raccolto tutte le più importanti e recenti sentenze della Cassazione in tema di nullità delle cartelle di pagamento. Oltre a riportare le relative massime nell’apposito box posto alla fine della pagina, cercheremo anche di spiegarne sinteticamente e in modo semplice il significato. Quali sono i motivi di impugnazione che il contribuente può sollevare e cosa si può fare per far cancellare il debito con fisco? Ecco cosa ne pensano i giudici.

Cartella di pagamento e motivazione

L’obbligo di motivazione della cartella può considerarsi soddisfatto a seconda che la cartella sia emessa a seguito di altro atto o sentenza o di diretta iscrizione a ruolo a seguito di controllo della dichiarazione:

a seguito di altro atto, è sufficiente il rinvio a tale atto costituente il presupposto dell’imposizione, con indicazione dei relativi estremi di notificazione o di pubblicazione;

a seguito di sentenza, è sufficiente l’indicazione della sentenza senza necessità di indicare l’atto impositivo originario;

in caso di diretta iscrizione a ruolo dei tributi a seguito di controllo formale, è sufficiente l’indicazione della natura del tributo recuperato, del periodo d’imposta, dell’imponibile e dell’aliquota applicata con il richiamo alla dichiarazione presentata dal contribuente.

Se per la cartella di pagamento la motivazione è un elemento essenziale, poiché senza di essa o in caso di insufficienza, la cartella è nulla, per il successivo avviso di intimazione ad adempiere è sufficiente che la motivazione faccia riferimento alla cartella in precedenza notificata.

Proprio a riguardo è bene ricordare che, se intende avviare un pignoramento, l’Agente della Riscossione non può far decorrere più di un anno dalla notifica della cartella. Dopo tale termine, infatti, è necessario inviare un nuovo sollecito detto appunto intimazione di pagamento che, a differenza della cartella, ha un’efficacia di soli 180 giorni (anche in questo caso, alla scadenza, sarà necessaria una ulteriore notifica).

Cartella di pagamento notificata con Pec

Si è parlato molto, in giurisprudenza, del nuovo metodo di notifica delle cartelle di pagamento con la posta elettronica certificata. In questi casi, alla pec viene allegato il documento vero e proprio che è, sebbene in forma telematica, il corrispondente della vecchia cartella fisica. Il punto però è che, secondo alcuni giudici, questo file non può essere in formato pdf in quanto esso sarebbe facilmente alterabile e, dunque, corrisponderebbe alla vecchia fotocopia. La genuinità può essere garantita solo dalla firma digitale e, pertanto, il formato dell’allegato dovrebbe essere quello p7m. Su tale tesi, sancita da numerosi tribunali, non tutti però sono d’accordo e la Cassazione non si è ancora espressa. Di recente, a fornire una interpretazione pro-fisco, favorevole quindi alla validità della pec con il pdf, è stata la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Impugnazione dell’estratto di ruolo

La legge assegna termini ben precisi per impugnare le cartelle di pagamento: 60 giorni per quelle relative a imposte, 30 per quelle che riguardano multe, 40 per quelle relative a contributi previdenziali e assistenziali. Tuttavia, se il contribuente non ha mai ricevuto la cartella (probabilmente per qualche vizio di notifica) e la prima volta che si accorge dell’esistenza della stessa è dalla stampa di un estratto di ruolo può impugnare quest’ultimo atto (secondo alcuni tribunali anche in tal caso entro 60 giorni dalla consegna dell’estratto). In questo modo può chiedere la cancellazione del debito dalla sua posizione non avendo mai ricevuto l’atto originario.

Contenuto della cartella

Il ruolo formato dall’ente creditore e riportato nella cartella di pagamento, deve contenere le seguenti indicazioni:

  1. a) l’ente creditore;
  2. b) la specie del ruolo (ordinario o straordinario, definitivo o provvisorio);
  3. c) il codice fiscale e i dati anagrafici dei debitori;
  4. d) il codice di ogni componente del credito (imposta, sanzioni, interessi ed altre spese);
  5. e) il codice dell’ambito;
  6. f) l’anno o il periodo di riferimento del credito;
  7. g) l’importo di ogni articolo di ruolo;
  8. h) il totale degli importi iscritti nel ruolo;
  9. i) il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso, l’importo di ciascuna di esse e la cadenza delle stesse;
  10. l) la data in cui diviene esecutivo e di consegna all’Esattore;
  11. m) l’indicazione sintetica degli elementi che giustificano l’iscrizione ed in particolare, nel caso di iscrizione conseguente ad un atto precedentemente notificato, devono essere indicati gli estremi dell’atto e la data di notifica.

Tutti detti elementi, ad eccezione della data di consegna all’Agente della Riscossione, devono essere indicati nella cartella.

Il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato. Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo e l’Agenzia Entrate lo consegna in via telematica o cartacea all’esattore competente il quale procede all’emissione ed alla notifica della cartella.

Il ruolo rappresenta quindi il credito che l’Agenzia Entrate intende far valere e dunque la pretesa impositiva (mentre la cartella di pagamento è solo lo strumento tramite il quale è portato a conoscenza del contribuente) ed è pertanto possibile oggetto di impugnazione.

Termini di prescrizione

Le cartelle hanno termini di prescrizione variabili a seconda del tipo di debito in esse riportato. Come abbiamo già spiegato in prescrizione della cartella esattoriale non impugnata, la Cassazione ha detto che questo termine non muta una volta decorsi i 60 giorni per l’impugnazione. In altre parole, una volta divenuta definitiva, la cartella non è come una sentenza che si prescrive sempre in 10 anni. Pertanto i termini di prescrizione andranno dai 10 anni previsti solo per le imposte erariali ai 5 per quelle locali e per le contravvenzioni, per finire ai 3 anni per il bollo auto. Tale del resto è stato l’importante chiarimento fornito dalle Sezioni Unite nel 2016.

Doppia impugnazione

Si può impugnare una intimazione di pagamento dopo aver prima perso l’impugnazione contro la cartella? A detta della Cassazione parrebbe di sì: non c’è infatti alcuna violazione del giudicato se i motivi di ricorso sono differenti.

Contenuto della cartella

In tema di riscossione delle imposte sui redditi per la validità del ruolo e della cartella esattoriale non è indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell’accertamento fiscale precedentemente emesso, al quale detti atti facciano riferimento: è sufficiente l’indicazione di circostanze univoche che consentano l’individuazione di quell’atto, al fine di tutelare il diritto di difesa del contribuente rispetto alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti.

Conservazione delle ricevute delle cartelle

Il contribuente che voglia presentare un accesso agli atti per verificare la corretta notifica della cartella ha tempo fino a cinque anni dalla cartella stessa. Questo però non significa che l’Agente della riscossione possa serenamente cestinare tali documenti. Difatti, se il cittadino dovesse promuovere un ricorso contro le cartelle deducendo di non averle mai ricevute, è solo con l’allegazione di tali attestazioni che l’Esattore può far valere la sua pretesa. Diversamente la cartella deve essere annullata.

Come chiarito dalla Cassazione, Agenzia Entrate Riscossione è tenuta a conservare ben oltre i cinque anni i documenti che attestano la notifica della cartella di pagamento, come la relata o la ricevuta di ritorno della raccomandata.

Infatti, ha spiegato a chiare lettere il Collegio di legittimità, grava sul concessionario della riscossione l’onere di provare la regolare notificazione della cartella di pagamento posta a base dell’iscrizione contestata. Tale onere deve essere assolto mediante produzione in giudizio della relata di notificazione, ovvero dell’avviso di ricevimento della raccomandata postale, essendo esclusa la possibilità di ricorrere a documenti equipollenti, quali, a esempio, registri o archivi informatici dell’Amministrazione finanziaria o attestazioni dell’ufficio postale. In assenza di tali produzioni, l’onere probatorio posto a carico del concessionario non risulta assolto. Né quest’ultimo può fondatamente avvalersi del disposto di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, e ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione finanziaria: tale norma, infatti, non enuclea un’ipotesi di esenzione, oltre il quinquennio, dall’onere della prova a vantaggio del concessionario, limitandosi a stabilire che quest’ultimo conservi la prova documentale della cartella notificata a soli fini di esibizione al contribuente o all’Amministrazione.

Consegna della cartella solo al commercialista

A detta della Cassazione è nulla la cartella di pagamento se le irregolarità in dichiarazione sono comunicate solo al commercialista. Nella procedura di liquidazione automatica gli errori rilevanti devono essere contestati direttamente al contribuente.

Quando dai controlli emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero una imposta o una maggiore imposta, qualora le incertezze non riguardino aspetti rilevanti della dichiarazione, sussiste l’obbligo di invio della comunicazione di irregolarità al contribuente. Lo Statuto del contribuente recita infatti che «Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta».

Per altro verso è valida la notifica della cartella di pagamento alla colf o comunque alla addetta alla casa del contribuente anche se non identificata. In mancanza della presentazione di querela di falso, infatti, non è possibile confutare quanto attestato dall’ufficiale giudiziario. Né può avere alcun rilievo, per dimostrare l’inesistenza di un rapporto stabile con il contribuente, la produzione di un certificato anagrafico o di famiglia. Né rileva la mancata indicazione del rapporto tra la persona cui è fatta la consegna e il destinatario della notificazione, con la conseguenza che l’ufficiale giudiziario non ha l’obbligo di fare ricerche in ordine al rapporto di dipendenza tra la persona che si qualifica addetta alla casa e il destinatario dell’atto, dovendo affidarsi alle dichiarazioni che gli vengono rese.

Allo stesso modo, ha concluso la Cassazione, è irrilevante la produzione in giudizio di un certificato di famiglia per dimostrare che non esiste alcun collegamento tra la contribuente e la persona che ha ritirato il plico. Infatti la certificazione dello stato integrale di famiglia non prova l’assenza della qualità di addetta alla casa e lo stesso vale per l’eventuale certificazione anagrafica.

È infine valida la notifica della cartella di pagamento fatta a mezzo raccomandata e ricevuta dal portiere. Non è infatti necessaria una seconda comunicazione.

La rateizzazione o il pagamento sono ammissione di debito?

Stabilire se il pagamento di una cartella esattoriale o la richiesta di rateazione possono essere considerati atti di ammissione del debito è importante perché da ciò dipende la possibilità di un successivo ricorso. Chi ammette il debito infatti non può presentare impugnazione. Ebbene, se per i debiti tra privati il pagamento è accettazione del debito stesso e quindi non consente più contestazioni, ciò non avviene con le cartelle esattoriali dove il contribuente può ottemperare alla richiesta di versamento delle imposte solo per evitare danni superiori come il pignoramento. Quindi è ben possibile pagare la cartella e poi presentare ricorso.

Secondo la Cassazione, anche la richiesta di rateizzazione (o, più correttamente, “rateazione”) non è ammissione di debito, non è cioè «acquiescenza». Il che significa che, anche dopo aver presentato l’istanza all’ufficio di Agenzia Entrate Riscossione, il contribuente può ugualmente fare ricorso e impugnare le cartelle esattoriali. E le può impugnare per qualsiasi ragione, anche per prescrizione. Prescrizione però che deve essersi compiuta prima della domanda di rateazione. Quella successiva invece non può più essere fatta valere.

Così, tanto per esemplificare, se il contribuente prima presenta una domanda di rateazione e dopo si accorge che alcune delle cartelle rateizzate erano prescritte, può ugualmente far ricorso al tribunale per farsele annullare e così ridurre la rateazione alle residue cartelle che invece sono dovute.

La ragione di tale orientamento è abbastanza comprensibile: bisogna dare al contribuente la possibilità di chiedere subito la rateazione per evitare problemi peggiori come, ad esempio, il pignoramento, il fermo amministrativo e l’ipoteca.

Che succede però se la prescrizione, non ancora compiuta al momento della presentazione dell’istanza di dilazione, si compie in un momento successivo, ossia a rateazione in corso? Pur non essendo stato chiarito dalla giurisprudenza, a nostro avviso non è possibile presentare ricorso in quanto, se così fosse, la dilazione agevolerebbe la possibilità di intenti fraudolenti per chi sta aspettando che si compia la prescrizione e, nel frattempo, non vuole subire azioni esecutive.

Impugnazione nel merito della cartella 

L’impugnazione nel merito della cartella di pagamento (e quindi per motivi attinenti alla pretesa fiscale con essa fatta valere) è ammessa quando la cartella è il primo atto impositivo impugnabile; quando invece la cartella è emessa a seguito ad un avviso di accertamento, costituisce soltanto una intimazione di pagamento della somma dovuta in forza dell’avviso e non costituisce un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che è sindacabile solo per vizi propri, con esclusione di qualsiasi questione attinente alla legittimità dell’accertamento.

In tutti gli altri casi la cartella si può contestare solo per vizi propri, attinenti cioè alla sua formazione.

Responsabile del procedimento

La cartella deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione sia del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo che il responsabile del procedimento di emissione e notificazione della cartella (indicato nello spazio per le comunicazioni dell’Esattore) che sono differenti in quanto l’iscrizione è effettuata dall’ente creditore mentre la cartella è formata e notificata dall’Agente della riscossione.

Per le cartelle portanti ruoli consegnati all’AdR fino al 1° giugno 2008, l’omessa indicazione del responsabile del procedimento non ne comporta la nullità.

Fonte: La Legge per Tutti

2 risposte

  1. Notifica della cartella di pagamento effettuata da Agenzia Riscossione per verbale violazione c.d.s., sulla pec del destinatario. La decorrenza termini per impugnazione dalla data di invio (con esito di accettazione e consegna), oppure dalla data di apertura della PEC?

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