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CROLLA LA FIDUCIA NELLE BANCHE: ORMAI SONO AFFIDABILI SOLO PER IL 16% DEI CITTADINI-RISPARMIATORI

La fiducia nelle banche è in declino. Non è certo una sorpresa né una novità. Ma la novità è che il disincanto ha colpito le aree dove il rapporto con il credito era, tradizionalmente, più solido. Quasi di complicità. Fra società e banche locali. D’altronde, la crisi ha “investito” (sia detto senza ironia) soprattutto istituti di credito locali del Centro e del Nordest. La Banca Popolare dell’Etruria, la Banca delle Marche e, prima ancora, il Monte dei Paschi di Siena, da una parte. La Popolare di Vicenza e Veneto Banca, dall’altra. E se osserviamo le 16 banche “commissariate” dalla Banca d’Italia, oltre metà (10, per la precisione) hanno radici dal Trentino all’Emilia Romagna. Dal Veneto alla Toscana. Fino all’Abruzzo. Da Folgaria a Padova e a Loreto. Da Ferrara a Chieti (che rientrano nel recente decreto del governo

Non si tratta di un profilo casuale, per chi abbia analizzato le tendenze dello sviluppo economico e territoriale degli ultimi trent’anni. Disegna, infatti, la mappa delle aree di piccola impresa. E coincide, largamente, con la “Terza Italia”, delineata da Arnaldo Bagnasco. Ripresa, in seguito, da Giorgio Fuà, nel modello NEC. Non a caso: Nord-Est (Giorgio Lago lo rinominò Nordest, senza trattino)/Centro. Un’Italia distinta dalle altre perché si sottrae ai sistemi di regolazione tradizionali, centrati sulla grande impresa (il Nord Ovest) e sullo Stato assistenziale (il Mezzogiorno). Questa Italia di Mezzo, invece, ha coltivato la complicità fra economia, società e politica. Fra “grandi partiti e piccole imprese” (per citare un importante volume di Carlo Trigilia). Zone bianche – il Nordest – e rosse – il Centro. Qui le banche sono anch’esse “locali”. Raccolgono il risparmio e lo erogano, in modo diffuso. Nel territorio. Così, la crisi del sistema bancario riflette – e moltiplica – le difficoltà dei sistemi aziendali che, in queste aree, hanno perduto la spinta propulsiva degli anni Ottanta e Novanta. Ma risente anche della fine dei grandi partiti di massa, DC e PCI, che garantivano coesione e rappresentanza politica. Non solo ai cittadini, ma anche agli interessi.

L’andamento della fiducia nei confronti delle banche riproduce queste tendenze. Il grado di “confidenza” verso le banche, fra gli italiani, agli inizi degli anni 2000 era intorno al 30% (Oss. Demos per Repubblica). Non moltissimo, ma, comunque, non poco. D’altronde le banche sono percepite in modo diverso, secondo la scala territoriale. Sul piano nazionale e globale, sono le istituzioni della Finanza. Che si distingue dall’Economia – intesa come attività di produzione e di commercio dei beni. Per spiegarlo, Edmondo Berselli nel suo breve e straordinario saggio di commiato – “L’economia giusta” – ricorre alle parole di Mickey Rourke, in “Nove settimane e mezzo”. Interpellato da Kim Basinger su cosa facesse, risponde, in modo definitivo: “I make money by money”. Faccio soldi con i soldi. Per questo è difficile immaginare come le istituzioni bancarie possano mantenere un rapporto stretto e duraturo, con la società. In tempi di tempeste monetarie e finanziarie globali, il loro “credito” (non per caso sinonimo di “attività bancarie”) si logora. Infatti, dopo la crisi del 2008, la fiducia nei loro confronti è calata sotto il 20%. E negli ultimi anni è scesa ulteriormente, attestandosi fra il 12 e il 16%. (Sondaggio Demos, dicembre 2015). Poco più del sindacato e, ovviamente, dei partiti.

Tuttavia, come si è detto, le banche sono “anche” riferimenti sociali e locali. Se il “credito” delle Banche, in generale, nel 2013, era intorno al 13%, la fiducia nella “banca utilizzata più spesso” saliva oltre il 50%. D’altronde, negli ultimi anni, gli italiani hanno continuato a utilizzare le banche, anche se in modo diverso dal passato. Lo conferma il 49simo Rapporto del Censis, presentato nelle scorse settimane. Gli italiani, sottolinea il Censis, hanno continuato ad accrescere il loro patrimonio finanziario. Ma hanno adottato strategie “fortemente difensive”. Così hanno privilegiato, sempre più, il contante e i depositi bancari, mentre sono crollate le azioni e le obbligazioni. Negli ultimi mesi questa tendenza è proseguita. Si assiste, così, a un costante aumento della liquidità e, insieme, a un incremento di assicurazioni e fondi pensione. Mentre gli investimenti in azioni e obbligazioni degli italiani continuano a ridursi. (E anche questo spiega le operazioni, talora poco trasparenti, di alcune banche per orientare i clienti in questa direzione.)

D’altro canto, appunta il Censis, “il risparmio è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano”, visto che, nell’anno trascorso, 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto ricorrere ai risparmi per affrontare le spese mensili. Così, in questo clima di grande incertezza, non sorprende la ripresa delle transazioni e dei mutui immobiliari. La casa, dopo anni di stallo, sembra essere tornata un (bene) rifugio. In tutti i sensi.

Certo, le tempeste che hanno coinvolto – e talora sconvolto – le banche, soprattutto locali, non hanno origine “solo” finanziaria. Così, il loro impatto, le loro conseguenze non riguardano e non riguarderanno “solo” economia e finanza. Ma riflettono le – e si rifletteranno nelle – trasformazioni e tensioni dello sviluppo territoriale. Per questo a risentirne maggiormente sembrano le regioni della Terza Italia. Del Centro e del Nordest. Il “credito” nei confronti delle banche, infatti, negli ultimi anni è calato maggiormente proprio lì. Di circa 10 punti nel Nordest e nel Centro, mentre nel Nord Ovest è diminuito di 4 punti e nel Mezzogiorno di 7.

Dietro alla crisi delle banche si coglie, così, la crisi del rapporto fra economia, società e politica. Nelle regioni dove lo sviluppo si è rivelato più intenso, negli ultimi trent’anni. Proprio lì, le piccole imprese non sono più re-attive come un tempo. I partiti di massa sono scomparsi. Al loro posto: i “post-partiti” (descritti da Paolo Mancini, in un recente saggio edito dal Mulino). Accanto alle post-banche. Anch’esse “sospese” in uno spazio senza territorio. Simboli e sintomi di una post-Italia dove mi sento spaesato. E che, francamente, mi sarei “risparmiato”.

Fonte: La Repubblica

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