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LA SPESA A CASA CON UN CLIC: L’ULTIMA SFIDA DEI COLOSSI l’ULTIMA SFIDA DEI COLOSSI DEL WEB

Ogni giorno cambia il menù. Tagliata di carne e insalata di pollo il lunedì, involtini indiani o sandwich con il pastrami il martedì, ramen giapponese o panino con affettati italiani il mercoledì. Si apre l’applicazione di UberEats, si ordina, si paga online fra gli otto e i 12 dollari e nel giro di cinque minuti al centro di Manhattan ti viene consegnato il pranzo. Avete letto bene: cinque minuti.

Con Google Express invece si fa la spesa, dai succhi di frutta al caffè fino al latte a lunga conservazione, che poi arriva lo stesso giorno in sette metropoli degli Stati Uniti. Amazon Fresh funziona in maniera analoga, ma al paniere ha aggiunto pietanze fresche. E poi c’è Prime Now, altro servizio del colosso di Jeff Bezos, che a New York come a Londra e adesso anche a Milano, distribuisce in un’ora migliaia di prodotti compresi surgelati, vino, pasta, pelati, pane in cassetta, olio, insalata in busta. “E a volte riusciamo a scendere anche sotto la mezz’ora in certe zone di Milano”, racconta Mariangela Marseglia, a capo di Prime Now in tutta Europa. Milano è stata la prima città non anglofona ad entrare nel programma che si è evoluto in tempi record: concepito a fine 2014, dopo tre mesi è diventato realtà negli Stati Uniti, per arrivare a giugno in Inghilterra e ora in Italia. Ma non è il solo. UberEats, partito a Los Angeles in forma sperimentale come UberFresh, è disponibile in dodici città fra Stati Uniti, Canada e da poco Francia. A Toronto, da tre settimane, permette di ordinare pranzi e cene dai migliori ristoranti della città.

“In Italia abbiamo fatto solo alcuni esperimenti, ma è ovvio che è un settore sul quale stiamo puntato molto”, spiega Carlo Tursi, che dirige la filiale di Uber qui da noi. Insomma, il conto alla rovescia è iniziato e in un Paese il nostro, con un settore alimentare frammentato che per numero di imprese è sei volte quello tedesco e che per l’88 per cento è fatto da microaziende, l’impatto che i colossi del web avranno sarà deflagrante. Nel bene per alcuni e nel male per altri. I margini di crescita sono enormi: spendiamo solo sei euro a testa online per il cibo, contro i 210 della Gran Bretagna dove Amazon sta facendo tremare catene di supermercati della stazza di Tesco, Asda, Sainsbury’s e Morrisons. “È un mondo che combina locale e globale giocando a tutto campo”, sottolinea Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il consorzio delle aziende che vendono sulla Rete. “Perché anche i piccoli produttori possono fare il salto, evitando gli intermediari per raggiungere il cliente”.

Cortilia ad esempio mette in contatto coltivatori e produttori a chilometro zero con i consumatori, Il Pescatore.it offre pesce fresco e lo porta a casa in un giorno, su Primotaglio.it si possono comprare pastiere e Casatiello. Che si abbia voglia di mozzarella di bufala artigianale o fiocchi d’avena industriali, comprare via web è più facile, veloce e spesso economicamente conveniente. La chiave di volta è un’organizzazione della logistica raffinata, risultato di una conoscenza profonda del territorio e dell’uso di algoritmi evoluti per lo smistamento e le consegne. Come fa Uber, che con i suoi camion distribuiti in punti strategici della città permette ai corrieri di portare un pranzo in cinque minuti. O come fa Amazon, che fra a New York ha stretto un accordo con Eataly di Oscar Farinetti per la vendita di bistecche e tartare fresche. “Essere rilevanti significa offrire quel che la gente vuole”, conclude Mariangela Marseglia. “Se si ha la giusta infrastruttura logistica le possibilità sono infinite”.

Certo, vien da chiedersi come mai abbiamo dovuto aspettare i colossi del web per avere consegne anche nel weekend e in tempi ragionevoli. Salvo casi come Esselunga infatti, solo il 12 per cento della grande distribuzione ha un sito sul quale si può comprare online. E stiamo per entrare nel 2016.

Fonte: La Repubblica

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