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RAI, I CONSIGLIERI “PENSIONATI” ORA VOLGIONO LO STIPENDIO

Siedono in un Cda dove i consiglieri giovani sono retribuiti e loro invece no perché più anziani e già pensionati. Per questo si sentono penalizzati, discriminati. Ed ora presentano un ricorso al Tar del Lazio contro il ministero dell’Economia che li costringe a lavorare gratis.

Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca, giornalisti professionisti in pensione e da agosto 2015 consiglieri della Rai, hanno saputo il 5 novembre che il ministero per l’Economia negava loro il diritto a un compenso. Quel giorno, il ministero ha confermato al presidente Maggioni che i consiglieri della tv di Stato, se pensionati, rientravano nel perimetro di azione della legge 114 del 2014. Dunque potevano sedere nel Cda, certo, e per tutti e tre anni del mandato; ma solo a titolo gratuito. Come qualsiasi altra persona che riceve un incarico “dirigenziale o direttivo” nella Pubblica Amministrazione quando è già in pensione.

Ma l’avvocato Federico Tedeschini – che assiste Diaconale e Mazzuca – batte proprio su questo tasto. Nel suo ricorso, sostiene che la Rai non è parte della Pubblica Amministrazione. Come la giurisprudenza anche costituzionale afferma, l’emittente fa capo a una società per azioni che risponde a regole e logiche privatistiche. Dunque tutti i suoi consiglieri devono essere compensati in modo uguale, inclusi i pensionati. La stessa fonte di nomina (che è la Commissione parlamentare di Vigilanza) metterebbe i consiglieri fuori dai confini della Pubblica Amministrazione. Peraltro il loro lavoro – altra argomentazione del ricorso – sarebbe di tipo gestionale mentre la gratuità riguarda soltanto i ruoli “dirigenziali e direttivi”.

Il legale nota anche che i due consiglieri della Rai hanno accettato l’incarico nella convinzione di ricevere uno stipendio sia pure modesto (66 mila euro lordi l’anno), invece ora la loro legittima aspettativa viene delusa. Niente impedisce a Diaconale e Mazzuca di dimettersi – può obiettare qualcuno – se arrabbiati per la gratuità del lavoro. Ma le dimissioni, sostiene il ricorso, priverebbero il Cda di figure esperte che rappresentano una risorsa per l’azienda. La stessa televisione di Stato, nel suo Codice di autodisciplina, si impegna a garantire sempre un compenso proporzionato per legare a sé professionisti collaudati.

L’avvocato Tedeschini chiede dunque che siano sospesi tutti gli atti ministeriali che costringono Diaconale e Mazzuca a lavorare senza compenso; e che sia dichiarata “nel merito” la illegittimità della linea del ministero. Ministero che – ultima bordata del ricorso – ha preso le sue decisioni sulle retribuzioni senza mai ascoltare i due consiglieri della Rai, come invece avrebbe imposto una procedura amministrativa corretta.

Fonte: La Repubblica

4 risposte

  1. Non c’è da stupirsi se tutti vogliono inzuppare il biscotto nel minestrone RAI, poiché quest’ultima amministrazione da sempre è una parentopoli dove favori e favoritismi sono all’ordine del giorno, per cui si può capire che anche i consiglieri pensionati cerchino di favorire nel piatto senza tanti complimenti.

  2. 66.000,00 euro annui (compenso modesto? Figuriamoci quale era lo stipendio del pensionatuccio bisognoso . Allora i miei 9.000,00 euro annui a 40 anni che cosa sono……..

  3. Se lì’Avv che difende i consiglieri che vogliono lo stipendio, nonostante pensionati e la legge lo vieta, il cui fondamento è stato individuato nella circostanza che la RAI è Ente Privato allora ancora una volta mi sorge il sospetto e non solo che il canone, quale compenso sdi natura privata destinato ad un’impresa che ha natura gestionale/amministrativa privatistica, non dovrebbe essere gestito ed imposto dall’Agenzia delle Entrate ma quest’ultima dovrebbe pretendere soltanto la TASSA DI CC. GG. su di esso gravante. Per fare questo potrebbe farsi ricorso al versamento tramite bollettino postale o bonifico bancario, da parte di chi il TV effettivamente lo possiede e detiene. La legge del 1931 istitutiva del canone ha dettato quale regola generale che l’obbligazione tributaria (tassa di CC.GG.) sorge in capo al soggetto passivo soltanto se “possiede” (quindi ha il diritto di proprietà su uno o più apparecchi atti a ricevere le trasmissioni TV) ovvero “detiene” (quindi c.d. il semplice utilizzo). Con la riforma voluta dai Sigg. amministratori di Rai, ora, si troveranno a pagare anche se non posseggono la TV(e ce ne sono), ma per fare valere tale diritto debbono autocertificare ai sensi del DPR 445/2000 la condizione. Orbene, se uno dichiara che effettivamente non ha la TV, come entrerà in casa degli italiani l’Organo di Vigilanza (Agenzia Entrate o Guardia di Finanza) se non in forza di un mandato dell’A.G.? E l’autorità Giudiziaria che in questo Paese spesso fa acqua da tutte le parti, potrebbe – per assurdo – andando oltre il limite del mandato di cui all’art. 13 della Costituzione, potrebbe ripeto, rilasciare un mandato di accesso per vedere se l’autocertificazione spedita dal cittadino corrisponda al vero o no. A questo punto, in attesa del decreto di attuazione, ho il sospetto che lo Stato forte dei poteri che gli competono, prevaricando ogni norma di diritto, ha in violazione di legge imposto il pagamento del canone che per la natura privatistica dovrebbe essere riscosso dall’Ente RAI così come fanno le altre TV/private. Insomma, per tagliare corto, ho l’impressione che come al solito per fare confusione i legislatori ed i loro consiglieri, in questo Paese, sono imbattibili ed imparagonabili a nessun altro Paese al Mmondo, neppure al Burkina Faso.
    Consiglieri pensionati RAI, andatevene a casa e lasciate spazio a chi ha bisogno di lavrare e/o comunque godetevi la lauta pensione.

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