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Caro spese sul portafoglio titoli. Commissioni su del 5% in 18 mesi

Qualche ritocco all’insù (sulle azioni), qualche ritocco all’ingiù (sui Btp), ma poco cambia. Nonostante l’incremento del prelievo fiscale previsto dalle leggi in vigore quest’anno (in testa il Decreto Irpef del 24 aprile, che ha innalzato dal 20 al 26% il prelievo sulle rendite finanziarie, titoli di Stato esclusi), le commissioni delle banche continuano a pesare più delle tasse sugli investimenti finanziari dei piccoli risparmiatori.
Nelle stime elaborate dall’Università Bocconi per CorrierEconomia, considerando sei istituti di credito, i costi bancari incidono infatti per il 43% sui rendimenti delle azioni (era il 41% nella simulazione analoga di 18 mesi fa), contro il 35% del fisco (ipotesi: 15 mila euro in titoli che rendono il 4,5%; nel calcolo sono compresi la ritenuta del 26% sui profitti, l’imposta del 2 per mille, la Tobin tax dello 0,1% sul valore iniziale dell’investimento). È come dire che, su 1.125 euro incassati dai titoli di Borsa in un anno, 487 euro finiscono alla banca, quasi la metà; e altri 393 euro se ne vanno in tasse.
Stessa sorte, più o meno, per il rendimento dei Btp: costi bancari al 42% (in linea con il 2012), contro un peso complessivo delle imposte del 19% (nel calcolo, il bollo del 2 per mille e la ritenuta del 12,5%).

Il sorpasso

Ma la novità di quest’anno è che, anche per chi investe in Bot, i costi applicati dalle banche (26%) battono quelli fiscali (22%): prima era l’unico caso in cui accadeva il contrario.
Dall’analisi della Bocconi, comunque, emerge una doppia tendenza per le spese bancarie: sono cresciute su Bot (+2% in 18 mesi) e azioni (+5%), ma diminuite sui Btp (-17%). Per i buoni del Tesoro, i costi bancari annui salgono infatti da 51 a 52 euro, su un rendimento lordo ipotetico di 200 (Caso uno: 10 mila euro investiti in Bot al 2%); per le azioni, crescono da 464 a 487 euro su un profitto lordo di 1.125 (Caso: 25 mila euro in titoli al 4,5% lordo). Per i Btp invece scendono da 154 a 127 euro (Caso due: 10 mila euro in Btp al 3%).
Ma vediamo chi vince e chi perde la gara della convenienza, tra i sei istituti esaminati. Sono state considerate tutte le spese sostenute dal cliente, quindi sia per il dossier titoli, sia per la compravendita di azioni (italiane), Bot e Btp, sia per l’invio degli avvisi di ordine eseguito. Ebbene, la banca che risulta più economica nella simulazione è Intesa, che vince sia per gli investimenti in azioni (costi al 36,3% dei rendimenti, sette punti sotto la media) sia per quelli in Btp (41,8%); Unicredit batte tutti invece sui Bot (25%).
La stessa Unicredit è però la più cara sulle azioni (49,5%), mentre il Monte dei Paschi appare il più costoso sia sui Btp sia sui Bot. Nel primo caso, le spese dell’istituto di Siena schizzano al 69%: è un dato in calo rispetto al 94% di un anno e mezzo fa, quando chi acquistava i Btp al Monte finiva addirittura in perdita, ma resta altissimo. Sui Bot la banca toscana applica costi al 28,5%, più di tre punti sopra la media.

Le soglie-trappola

Basta dare un’occhiata ai fogli informativi per capire perché i costi generali siano tanto lievitati. Per la compravendita di azioni, già anni fa le banche trattenevano il famoso 7 per mille: ora si può salire al 9 per mille (è il caso di Unicredit, che nell’ottobre 2012 chiedeva lo 0,85%). Ma la vera insidia della compravendita sono le soglie minime, che possono essere sommate a non meglio precisate «spese» e toccare i 27 euro per le azioni (Mps). Come dire quasi il 3% di commissione, su mille euro investiti. A tutto ciò vanno aggiunti i costi per la tenuta del dossier titoli: al 30 aprile, la media era di 104 euro l’anno per le azioni e 20 per i titoli di Stato. L’alternativa? Resta Internet.
«Abbiamo aumentato su alcuni strumenti i costi nel 2013, ad esempio sulle azioni italiane — dicono in Unicredit —. Sono revisioni fatte periodicamente, anche se online la spesa è rimasta stabile al 2 per mille. Stiamo ragionando su servizi “all inclusive” su investimenti e su conti a pacchetto, con condizioni favorevoli anche per chi voglia operare su altri canali». Il punto è che gli aumenti, qui e altrove, sono stati decisi senza pensare che sarebbero state alzate anche le tasse sulle rendite finanziarie.

di Alessandra Puato
fonte: corriere.it

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