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CARTELLA ESATTORIALE, CAUSE DI ILLEGITTIMITA’

Non sono bastati gli ultimi condoni, le sanatorie e le rottamazioni per far sopire la “fiammella” dei ricorsi contro le cartelle di pagamento. Il filone tributario è ancora il primo motivo di ricorso in Cassazione, segno che il fisco viene percepito come il principale nemico del cittadino. E se i tribunali si dividono ancora nel merito, in ultimo grado è possibile fissare le linee di quelle che sono le principali cause di illegittimità della cartella esattoriale. Le più recenti sentenze, infatti, offrono una panoramica dei vizi più spesso accolti dai giudici, quelli cioè che lasciano ancora la porta aperta all’annullamento della pretesa dell’Agenzia Entrate Riscossione o dell’Esattore locale.

Dalla motivazione degli interessi al rispetto delle regole sulla notifica, dalla costituzione in giudizio dell’Agente della riscossione alle questioni su prescrizione e decadenza: sono numerose le frecce che ha in mano il contribuente nel momento in cui decide di impugnare la cartella. Qui di seguito forniremo alcune indicazioni delle principali cause di contestazione che hanno visto il cittadino vittorioso.

Cause di illegittimità della cartella: vizi di forma e di sostanza

Avrai certamente sentito già parlare dell’esistenza di vizi di forma e di sostanza della cartella esattoriale. Nel primo caso non vengono rispettate le regole sulla procedura o sul contenuto minimo dell’atto; nel secondo caso l’illegittimità investe l’esistenza o la quantificazione del debito. La distinzione non è solo una questione da giuristi: se, infatti, la procedura e il modello di ricorso contro la cartella è lo stesso, ci sono delle importanti ricadute pratiche. Il vizio di forma può essere spesso sanato: si pensi a una notifica fatta a un soggetto non legittimato che, tuttavia, abbia poi consegnato l’atto all’effettivo destinatario; o all’omessa indicazione del giudice a cui proporre ricorso. Il vizio di sostanza, invece, non può essere sanato perché è in gioco la stessa esistenza del debito.

Vediamo ora alcune delle più recenti sentenze che spiegano quali sono le cause di illegittimità della cartella esattoriale.

Interessi in chiaro

La cartella deve indicare il criterio di calcolo degli interessi, quelli cioè maturati tra la data in cui il tributo o la sanzione doveva essere corrisposto e la data in cui l’amministrazione ha “iscritto a ruolo” il proprio credito (così delegando l’Esattore).

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha di recente ricordato come non basta l’indicazione nell’atto della sola normativa applicata – dalla quale ricavare le modalità di applicazione degli interessi – ma è necessario un accurato dettaglio all’interno della cartella stessa, che spieghi al contribuente il tasso applicato per ogni singola annualità. La cartella priva dunque della spiegazione del metodo di calcolo degli interessi in essa portati è illegittima e può essere annullata. Non bastano le sole indicazioni di legge, poiché, come anche la Cassazione ha più volte ribadito «in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario dev’essere motivata dal momento che il contribuente deve essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi».

Un altro tema caldo che ha investito, più di recente, i ricorsi contro le cartelle di pagamento riguarda le modalità di costituzione in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate o dell’Agente della Riscossione. Il quesito posto ai giudici è se tali enti possano essere difesi da avvocati esterni (quelli cioè “privati” del libero foro) o se, invece – anche per un contenimento della spesa pubblica – debbano ricorrere a personale interno, dotato di potere di rappresentanza. La questione non è puramente teorica. Difatti, da una costituzione avvenuta “non a norma di legge” deriva l’impossibilità per il giudice di prendere in considerazione le difese dell’Agente di riscossione e tutti i documenti da questi prodotti; con la conseguenza che, in assenza di prova contraria, il tribunale deve accogliere le eccezioni sollevate dal contribuente.

Ebbene, la risposta fornita dalla giurisprudenza in merito alla validità della costituzione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione è differente a seconda del giudice e del grado di giudizio. In particolare si è detto che:

  • dinanzi alle Commissioni tributarie: in primo e secondo grado la difesa dell’Esattore può avvenire solo tramite il proprio direttore o dipendente da questi delegato. Non è quindi possibile la difesa a mezzo di avvocati liberi;
  • in Cassazione, invece, è ammessa la difesa per il tramite di avvocati del libero foro (ossia professionisti privati) a condizione però che vi sia una preventiva, apposita e motivata delibera del dirigente e, infine, che tale delibera sia sottoposta al parere degli organi di vigilanza. In altre parole, secondo la giurisprudenza, «laddove il mandato all’avvocato del libero foro sia stato rilasciato senza il vaglio dell’organo di vigilanza e non ricorra un caso di urgenza oppure non si sia in presenza di un documentato conflitto di interessi reale, tale atto è nullo.

Con le citate decisioni, è stata confermata la regola generale secondo cui la difesa dell’Agenzia delle entrate-riscossione deve avvenire a cura dell’Avvocatura dello Stato e solo in via eccezionale da parte di avvocati del libero foro, con un esborso economico in termini di compensi professionali che, ove non adeguatamente giustificati nella deliberazione dell’ente, potrebbe dar luogo a profili di danno erariale.

Notifiche via Pec illegittime

Per le cartelle notificate via Pec – obbligatorie per professionisti, imprese individuali e società – è necessario curare due aspetti. Il primo: il formato dell’allegato. Secondo la giurisprudenza di merito (ma sul punto la Cassazione non si è ancora pronunciata), la copia della cartella allegata all’email di posta elettronica certificata deve essere in formato p7m e non in pdf, essendo quest’ultimo una mera riproduzione meccanica (al pari della fotocopia), priva di certezza sull’identità del suo autore. Il formato p7m invece garantisce la genuinità tramite la firma digitale. È solo l’estensione «.p7m» e non «.pdf» a garantire integrità, immodificabilità nonché autenticità del documento, canoni, oltretutto, assicurati anche dall’apposizione sul documento, della firma digitale.

In secondo luogo: la prova dell’avvenuta notifica. Per evitare la dichiarazione di illegittimità della cartella notificata per Pec, l’Esattore deve dimostrare, con relative ricevute, l’accettazione e la consegna. Così ha precisato la Ctp di Latina.

Se il contribuente asserisce di non aver ricevuto alcuna Pec nella propria casella di posta elettronica, spetta ad Agenzia Entrate Riscossione la prova contraria: sia con riferimento alla ricevuta di avvenuta accettazione – comprovante, al pari di una ricevuta di spedizione a mezzo posta, la consegna del documento al gestore del servizio – sia con riguardo alla ricevuta di avvenuta consegna, idonea ad assicurare l’avvenuto recapito al destinatario. In mancanza di tali documenti la notifica si considera nulla.

Se il postino bussa alla porta e nessuno apre

Potrebbe succedere che, al momento in cui il postino bussa alla porta per la consegna della cartella, il contribuente non si trovi momentaneamente a casa. In tali ipotesi – che vanno sotto il nome di «irreperibilità relativa» – è necessario rispettare un particolare procedimento affinché la notifica sia valida.

Innanzitutto il soggetto notificante dovrà verificare che non vi siano familiari conviventi (con più di 14 anni), addetti alla casa o un portiere che possa ricevere l’atto. Se così dovesse essere la notifica si considera corretta solo se viene spedita all’effettivo destinatario una seconda raccomandata (cosiddetta CAN) in cui gli si dà comunicazione della consegna dell’atto a un soggetto diverso.

Se invece il notificante non dovesse trovare nessuno, è tenuto a lasciare un avviso nella cassetta delle lettere e a spedire all’interessato una seconda raccomandata in cui lo avverte della giacenza dell’atto presso l’ufficio postale o la casa comunale.

Il mancato attenersi anche solo a uno degli adempimenti previsti dal procedimento descritto nella norma citata, comporta violazione della stessa con conseguente nullità della notifica.

Termini di prescrizione e di decadenza

I termini di prescrizione delle cartelle sono forse il motivo più ricorrente di ricorso: sia che la prescrizione si sia verificata dopo la data della notifica dell’avviso di accertamento, sia che invece si sia formata dopo la consegna della prima cartella di pagamento.

La prescrizione è di 10 anni per le imposte dovute allo Stato; di 5 anni per le imposte dovute agli enti locali, per le sanzioni amministrative, le multe stradali e i contributi previdenziali; di 3 anni per il bollo auto.

Motivazione della cartella

Ultimo, ma non meno sfruttato, motivo di impugnazione della cartella è il difetto di motivazione, ossia l’insufficiente indicazione della fonte del debito (un accertamento, una sentenza di condanna, ecc.).

Se un coobbligato fa ricorso

Se la cartella viene inviata a un coobbligato solidale e questi impugna la cartella ottenendone la dichiarazione di illegittimità, la pronuncia ha valore anche nei confronti dell’altro coobbligato che pertanto è libero dall’obbligo di pagamento. Lo ha spiegato di recente la Ctr Lombardia.

In virtù del principio del “giudicato riflesso”, il debitore solidale può avvantaggiarsi del giudicato favorevole emesso nei confronti di un altro coobbligato. L’unica eccezione è il caso in cui nei confronti del primo sia stata emessa una sentenza autonomamente efficace. Altrimenti, il giudicato sfavorevole non è opponibile a chi non abbia partecipato al processo o non sia stato messo in condizione di esserne parte.

Fonte: La Legge per Tutti

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