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Divorzio breve, nuovi termini con decorrenza anticipata

Periodo di “riflessione” ridotto e decorrenza dei termini anticipata. Così il disegno di legge sul divorzio breve, approvato nei giorni scorsi dalla Camera e ora in attesa di iniziare l’esame al Senato, prova a ridurre l’attesa che la legge italiana impone alle coppie in crisi prima di poter chiedere lo scioglimento del matrimonio.

Vediamo nel dettaglio cosa cambierebbe se il Ddl dovesse essere approvato. Oggi, secondo l’articolo 3 della legge sul divorzio (898/70), i coniugi, per presentare domanda di divorzio, devono aspettare che siano decorsi tre anni di ininterrotta separazione (non possono farlo, dunque, se nel triennio c’è stata una riconciliazione). Il Ddl consente invece di arrivare al divorzio dopo sei mesi di separazione, se è consensuale, dopo un anno se è giudiziale. E i tempi non cambiano se i coniugi in crisi hanno figli minori.
Inoltre, il Ddl anticipa la decorrenza dei termini. Ora, infatti, i tre anni si calcolano, sia nelle separazioni giudiziali che in quelle consensuali, dal giorno in cui moglie e marito compaiono, per la prima volta, dinanzi al presidente del tribunale. Ma questa udienza (in base all’articolo 706 del Codice di procedura civile) viene fissata entro 90 giorni dal deposito del ricorso. Secondo il Ddl, invece, nel caso di separazione giudiziale, si potrà attivare la procedura di divorzio dopo dodici mesi dal giorno della «notificazione della domanda di separazione» da un coniuge all’altro.

Si tratta di una misura che può anticipare anche di molto i tempi, anche perché oggi in molti tribunali il termine di 90 giorni non è rispettato; inoltre, la prima udienza può slittare se il coniuge chiamato in giudizio non compare. Ad accelerare l’iter è anche la previsione per cui, se alla data di instaurazione del giudizio di divorzio è ancora in corso quello di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa sarà assegnata allo stesso giudice della separazione. Per domande accessorie vanno intese tutte le domande diverse da quella principale di separazione, ma a essa connesse. Si tratta, ad esempio, della richiesta di addebito, di quella di risarcimento a carico del coniuge ritenuto responsabile della rottura del matrimonio o della domanda di restituzione delle somme versate al consorte a titolo di assegno di mantenimento poi revocato.
Il Ddl anticipa la decorrenza anche per le separazioni consensuali. In questo caso, i sei mesi si conteranno, anziché dall’udienza presidenziale, «dalla data di deposito del ricorso ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso sia presentato da uno solo dei coniugi».

Il testo modifica anche le regole per chiedere lo scioglimento della comunione legale dei beni. Ora, la domanda di divisione dei beni comuni può essere proposta da ciascun coniuge solo dopo lo scioglimento della comunione, a seguito della pronuncia definitiva di separazione. Il Ddl, invece, prevede che nel caso di separazione personale, la comunione tra marito e moglie «si scioglie nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato». E abbatte i tempi anche la possibilità di introdurre la domanda di divisione della comunione «unitamente alla domanda di separazione o di divorzio».

di Selene Pascasi
fonte: ilsole24ore.it

Una risposta

  1. Sarebbe interessante sapere il motivo per cui il Tribunale di Venezia, contrariamente a molti altri tribunali italiani, pretende che anche in caso di divorzio congiunto, conseguente ad una separazione consensuale, via sia l’assistenza, ovviamente onerosa, dei legali.

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