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FUGA DAGLI OSPEDALI, RISCHIANO DI SPARIRE 40 MILA SPECIALISTI

Dopo una passeggera crisi di vocazione i ragazzi hanno ripreso a fare a spinte per entrare nelle facoltà di medicina, ma tra blocchi delle assunzioni e numeri troppo chiusi nelle ancora più ambite scuole di specializzazione nei prossimi dieci anni dai nostri ospedali rischiano di sparire 40 mila camici bianchi. Una desertificazione di ambulatori e corsie che, insieme agli altri 16 mila medici di famiglia mancanti da qui a sette anni, rischia di mandare in tilt il nostro sistema di assistenza sanitaria. Anche perché a mancare all’appello saranno soprattutto chirurghi, ginecologi, pediatri, internisti, specialità delle quali non si può fare a meno.

A lanciare l’allarme sulla fuga dagli ospedali d’Italia è uno studio condotto dall’Anaao, il più forte sindacato di categoria, pronto allo sciopero sotto le feste se il governo non metterà sul piatto proposte concrete per arginare il problema e soldi per rinnovare un contratto fermo al palo da sette anni.

Intanto i numeri dello studio parlano chiaro: tra il 2021 e il 2015 dalle attuali circa diecimila uscite l’anno si passerà a oltre 5.600 pensionamenti, perché attaccheranno il camice al chiodo i dottori figli del baby boom. Così in un decennio andranno in quiescenza 47.300 specialisti ospedalieri più 8.200 universitari e specialisti ambulatoriali. In tutto un esodo di 55.500 medici. E siccome vige il parziale blocco delle assunzioni, che consente di sostituire solo un camice bianco su quattro, significa che all’appello mancheranno appunto 40 mila dottori. Nemmeno a dire che a contenere le perdite serviranno gli stanziamenti dell’ultima legge di stabilità, visto che servono a stabilizzare settemila precari che già lavorano e non ad assumere nuova forza lavoro. Lo stesso dicasi delle tremila assunzioni programmate lo scorso anno dal Governo, quasi tutte ferme al palo perché la maggioranza delle regioni si è guardata bene dal presentare i dati sui propri fabbisogni.

Così nei nostri ospedali i medici iniziano a scarseggiare e a mettere sempre più capelli bianchi. Già oggi quasi la metà di loro, per l’esattezza il 48,7%, ha più di 55 anni, con gli ultrasessantenni sopra quota 20% mentre i giovani tra i 30 e i 34 anni sono appena l’1,7%. «Medici più anziani di noi in Europa non li ha nessuno e nel mondo siamo secondi dietro solo ad Israele», rimarca il Vice segretario nazionale vicario dell’Anaao, Carlo Palermo, tra i curatori dell’indagine ancora inedita. E non trovando sbocchi in Italia sempre in maggior numero ripiegano il camice in valigia ed emigrano all’estero. A richiedere la documentazione per poter esercitare oltre confine erano solo in 369 nel 2009, sono diventati 1.836 lo scorso anno. «Ognuno di loro è costato sui 150 mila euro per la formazione, è come dire che regaliamo 1.800 Ferrari l’anno agli altri Paesi», sottolinea Palermo.

Ma carenza e invecchiamento della nostra classe medica non sono solo colpa dei blocchi delle assunzioni imposti dalla finanziarie degli ultimi anni. A fare il resto c’è anche un «imbuto formativo», che a fronte di richieste d’ingresso sempre più pressanti e pensionamenti sempre più massicci continua a lesinare con il contagocce i posti disponibili nelle scuole di specializzazione. Oggi le porte si aprono a 6.100 laureati in medicina mentre ce ne sarebbe bisogno di 7.900 l’anno. Come dire che continuando di questo passo in un decennio, qualora si tornasse pure ad assumere a piene mani, mancherebbero pur sempre quasi 20mila neo-specializzati a rimpiazzare chi esce.

Intanto già ora quelli che ci sono non bastano. La riprova viene dalle oltre settemila segnalazioni sul mancato rispetto dello stop ai turni massacranti imposto dalla direttiva europea sull’orario di lavoro. Denunce che minacciano ora di avviare altrettanti ricorsi.

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