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L’ADDIO A BORTOLUSSI MERCOLEDI’ NELLA “SUA” CAMPONOGARA (VENEZIA)

Sono stati fissati per domani alle 15.30 nella chiesa di Camponogara i funerali di Giuseppe Bortolussi, per 35 anni l’interprete della rabbia e della passione dei piccoli imprenditori e degli artigiani del Nordest, capace di tradurre, rendere comprensibili a tutti e far arrivare a Roma i problemi del fisco e delle tasse, tra quelli che di più lo appassionavano. Sono attese tantissime persone, dalle istituzioni al mondo dell’industria e dell’artigianato, passando per la politica, alle esequie di una figura conosciuta ben oltre i confini del Veneto. Bortolussi è morto sabato sera poco dopo le 22.30 all’ospedale di Padova dove era ricoverato da alcune settimane per una grave malattia. L’aveva scoperta lo scorso ottobre, aveva subìto un intervento ma la malattia lo aveva debilitato, fino alla crisi di sabato.

Dal 1980 era segretario della Cgia, l’associazione degli artigiani di Mestre. Aveva 66 anni – era nato il 4 agosto del 1948 a Gruaro, nel Veneto Orientale – e abitava a Camponogara, in quella Riviera del Brenta simbolo di quel settore produttivo fatto di piccole imprese per il quale si è sempre battuto e impegnato, nell’associazione così come in politica, come assessore del Comune di Venezia e consigliere regionale. Lascia la moglie Mara, e le figlie Valentina, Gaia e Martina.

L’ex sindaco che lo volle assessore alle Attività produttive dal 2005 al 2010 e che stimava profondamente: «E’ stato importante per tutto il Paese»

Gli artigiani. Alunno del liceo classico Franchetti di Mestre e poi studente di legge a Padova, Bortolussi iniziò a fare pratica nello studio di Dolo dell’avvocato penalista Ennio Antonucci dal quale – spiegava -aveva imparato a concentrarsi con spirito critico sull’analisi dei fatti. Lo stesso spirito che lo ha guidato a partire dal 1980 – dopo essere stato per alcuni mesi vice segretario del comune di Fiesso – alla guida della Cgia di Mestre dove ha cominciato le sue battaglie in difesa di quello che poi venne chiamato il popolo delle partite Iva e per farlo decide di aprire, all’inizio degli anni Novanta, un centro studi che ha cominciato a sfornare studi e tabelle che finivano sulle scrivanie dei ministri e diventano elemento di dibattito pubblico. Tra le battaglie fiscali di cui era stato orgoglioso alfiere quella per l’abolizione della Minimum Tax che era stata introdotta nel 1992 dal governo Amato e lo spostamento della tassazione sulle società di capitali, la revisione degli studi di settore, e la battaglia contro l’Irap introdotta da Visco, ministro di sinistra che lui di cui lui, da sinistra, è stato la spina nel fianco. «È vero, sono un rompiscatole», gli piaceva dire. Ma soprattutto, come ricordano i suoi più stretti collaboratori, la sua battaglia era nata per dare dignità a quelle piccole imprese le cui richieste, nell’agenda dei governi, soccombevano di fronte alle esigenze della Fiat. Da ultimo, negli anni della crisi, era stato molto colpito dai suicidi di molti imprenditori, ai quali nel 2012 aveva dedicato una riflessione ne “L’economia dei suicidi”.

La politica. Massimo Cacciari, con il quale c’era una forte intesa, lo aveva voluto tra il 2005 e il 2010 nella sua seconda giunta come assessore al Commercio dopo un’analoga esperienza di pochi mesi del 1996. Tra le altre cose, d’intesa con Cacciari cercò di recuperare al decoro Piazza San Marco sfrattando dall’area marciana i venditori di grano, decisione che fu al centro di un lungo dibattito. Nel 2010 la sfida per la guida della Regione, sostenuto dal centrosinistra imperniato sul Pd, dopo la stagione di Galan. Ma la sfida contro Luca Zaia era di quelle impossibili, come ammise lui dopo la sconfitta. Dalle urne del 28-29 marzo Zaia uscì vincitore con il 60% delle preferenze. Lui non si scoraggiò, e rimase a fare la sua parte seduto tra gli scranni dell’opposizione.

L’amore per il design. Una grande passione che condivideva con la moglie: sono oltre duemila i pezzi che appartengono alla sua collezione. Gli piaceva investire i soldi – spiegava – nelle cose belle e fatte bene. Dalle macchine da scrivere in cui si incarnava l’utopia di Olivetti, alle moto e ai letti firmati da Philippe Stark, il designer francese di cui aveva acquistato almeno novanta pezzi, oggetto anche di una mostra tenuta alcuni anni fa a Padova. E ancora gli arredi di Vico Magistretti e Achille Castiglioni o, per citare uno degli oggetti di design più noti al mondo, la Wiggle Side Chair disegnata dall’architetto Frank Gehry nel 1972.

 

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