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VITA MATRIMONIALE INSOPPORTABILE: POSSO CHIEDERE LA SEPARAZIONE?

Se la vita di coppia e la routine matrimoniale ti logorano, chiedere la separazione può costarti la perdita del diritto al mantenimento. Perché? Perché, secondo la Cassazione, è meglio dire di non essere più innamorati che di odiare la vita matrimoniale. La questione è sottile ma non incomprensibile. Potrebbe addirittura sembrare di lana caprina, un ragionamento per soli avvocati. Non è così, ma per spiegare come stanno le cose bisogna partire dal principio. Lo faremo qui di seguito: chiariremo cioè perché è rischioso dire al giudice di non essere tagliati per il matrimonio, per le rinunce e per i compromessi che esso comporta. Ci riferiremo alle stesse parole della Cassazione che, a più riprese ha spiegato quali sono i motivi per cui richiedere la separazione e il divorzio senza andare incontro a responsabilità.

Dunque, se anche tu, almeno una volta nella vita, ti sei chiesto se, in caso di vita matrimoniale insopportabile posso chiedere la separazione, ecco le spiegazioni e i suggerimenti pratici che fanno al caso tuo.

Motivi per chiedere la separazione

La legge genericamente dice che la separazione – e, di conseguenza, anche il successivo divorzio – può essere richiesta quando la convivenza diventa intollerabile. Non viene specificato, però, quali debbano essere i motivi dell’intollerabilità. Si può trattare, quindi, di qualsiasi causa: un allontanamento dalla casa coniugale, l’infedeltà, l’assenza di rapporti (anche sessuali), il disinteresse reciproco, l’assenza di comprensione e di supporto morale e materiale, i litigi o il semplice disaccordo sulla vita matrimoniale. Anche il disinnamoramento può essere considerato una valida ragione per chiedere la separazione.

I coniugi non devono necessariamente dimostrare che la convivenza è divenuta intollerabile: il semplice fatto che uno dei due si sia rivolto al giudice per chiedere la separazione è motivo più che sufficiente per ritenere che sia venuta meno, almeno da una parte, la volontà di restare unita all’altra. E siccome nessuna norma obbliga le persone a rimanere sposate se non lo vogliono, si può richiedere la separazione anche se l’altro coniuge è contrario e vorrebbe proseguire il matrimonio.

Chiaro è che, se i motivi dell’intollerabilità della convivenza risiedono nel comportamento colpevole dell’altro coniuge e di ciò si riesce a dare prova nel processo, quest’ultimo verrà ritenuto responsabile per la fine dell’unione matrimoniale e subirà il cosiddetto addebito. Conseguenza di tale situazione è la perdita del diritto al mantenimento e della possibilità di essere erede dell’altro coniuge (qualora questi muoia prima del divorzio).

Sintetizzando, possiamo così schematizzare la questione appena trattata:

  • ciascun coniuge può fare ricorso al tribunale e chiedere la separazione: basta semplicemente affermare che la convivenza è divenuta intollerabile;
  • se però si vuol chiedere l’addebito – ossia la dichiarazione di responsabilità – a carico dell’altro coniuge, per le sue condotte colpevoli e contrarie al matrimonio, è necessario dimostrare di quale comportamento illecito questi si è macchiato (ad esempio le violenze o l’infedeltà);
  • anche un solo coniuge può chiedere la separazione senza bisogno che ci sia anche il consenso dell’altro. In tal caso si procede con una separazione giudiziale e non consensuale.

Doveri del matrimonio

Il matrimonio, per quanto dovrebbe essere un piacere – diversamente nessuno lo sceglierebbe – implica anche dei doveri, non solo morali ma anche giuridici. La violazione di alcune regole dettate dal codice civile comporta una responsabilità. Tale responsabilità però – salvo si tratti di condotte che integrano un reato (violenze, minacce, abbandono in stato di necessità, ecc.) – non danno diritto a ottenere un risarcimento. Le uniche sanzioni per chi viene dichiarato responsabile per la violazione dei doveri matrimoniali sono:

  • l’impossibilità di chiedere l’assegno di mantenimento;
  • l’impossibilità di vantare diritti ereditari sull’ex coniuge qualora questi muoia prima del divorzio (dopo il divorzio, tali diritti si perdono comunque e sempre).

È il cosiddetto addebito: il coniuge che subisce l’addebito della separazione – ossia viene ritenuto responsabile per la fine dell’unione – subisce appunto tali conseguenze e null’altro.

Quali sono i doveri del matrimonio?

In linea generale, i doveri del matrimonio sono:

  • la convivenza: è responsabile chi va via con l’intenzione di non tornare più a casa (in questo senso, non è responsabile chi si prende una pausa di qualche giorno o chi va a vivere altrove solo a seguito di una lite ma con l’intenzione di fare al più presto ritorno). Chiaramente è giustificato chi va via per tutelare la propria incolumità fisica dalle condotte violente o minacciose dell’altro;
  • la fedeltà: la responsabilità scatta solo se l’adulterio è causa e non conseguenza della fine del matrimonio. La donna picchiata dal marito può tradirlo in quanto ormai l’unione è stata intaccata da un altro motivo;
  • l’assistenza morale e materiale: tra i coniugi non c’è solo l’obbligo di prendersi cura l’uno dell’altro, in salute e malattia, prestando la rispettiva assistenza, ma anche quello di contribuire ai bisogni materiali altrui quando questi non ha le disponibilità economiche per provvedervi. Pertanto il marito che ha accettato il ruolo di casalinga della moglie, deve comunque darle il denaro necessario per le sue esigenze. In questo obbligo rientra anche il dovere di avere rapporti sessuali.

Vita di coppia insopportabile: separazione e addebito

Il matrimonio implica quindi l’accettare tutte le condizioni che la vita di coppia comporta, quindi i sacrifici e le rinunce ad esso collegate, sia da un punto di vista giuridico che morale. Non ci si può, ad esempio, sposare con la riserva di voler passare tutta la giornata fuori di casa, con i propri amici, o di spendere tutti i propri guadagni per sé stessi. Non si può salire sull’altare e poi dire di non essere tagliati per il matrimonio. Il rifiuto dei doveri coniugali, espresso anche implicitamente con l’affermazione di una propria incompatibilità con la routine matrimoniale, costituisce motivo di addebito perché è proprio l’esatta affermazione del mancato rispetto dei doveri coniugali.

Quindi, tanto per rimanere nel campo degli esempi, la moglie che dice che la vita matrimoniale non è fatta per lei e di essersi accorta, solo in un momento successivo, di preferire la condizione di single, di essersi stancata della solita vita con il marito, di non sentirsi più coinvolta, non può poi chiedere l’assegno di mantenimento.

Questi concetti sono stati magistralmente sintetizzati dalla Corte di Appello di Catania in una sentenza un po’ datata, ma sempre attuale: «se deriva da insofferenza verso la routine matrimoniale ed i sacrifici e le rinunce reciproche al vincolo nuziale collegati, e non sussiste causa giustificativa in qualche modo provocata dalla condotta riprovevole del coniuge, il rifiuto di proseguire la convivenza costituisce comportamento contrario ai doveri derivanti dal matrimonio e addebitabile come causa della crisi coniugale».

Diverso è il caso di chi dice che non è più innamorato poiché al cuor non si comanda, né in un senso, né nell’altro. E allora se finisce l’amore è un conto; se si tratta di capricci e di egoismo, o semplicemente del fatto di non aver meditato per bene prima di sposarsi su ciò a cui si andava incontro, è tutto un altro conto.

Fonte: StudioCataldi.it

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