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PENSIONI MINIME, IL GOVERNO PUNTA AL RADDOPPIO DEI BENEFICIARI

Fonte: La Stampa

Tutto dipenderà da quanta «flessibilità» riuscirà il governo italiano a conquistare al tavolo europeo e dall’ andamento della congiuntura. In un caso la manovra della legge di Stabilità per il 2017 sarà «pesante» dal punto di vista quantitativo e politico (considerando il complicato appuntamento referendario in autunno). Se invece l’economia continuasse a dare delusioni, e Bruxelles non garantisse margini di spesa, saranno guai. La lista delle cose che il governo Renzi vorrebbe realizzare è lunghissima: pensioni, cuneo fiscale, decontribuzione per i nuovi assunti, il rinnovo del bonus per i diciottenni, misure per la famiglia e la natalità, provvedimenti per le imprese e la produttività, i contratti pubblici, la conferma dell’ecobonus esteso anche ai condomini. Dover scegliere sarebbe dura.

Quel che sembra sicuro, a sentire i tecnici che stanno lavorando al pacchetto dei provvedimenti a Palazzo Chigi e nei ministeri economici, è l’intervento sulle pensioni. Che avrà un doppio versante: un intervento per adeguare gli assegni più modesti e dare un po’ di respiro ai pensionati più poveri, e l’annunciatissimo «anticipo previdenziale» per alleviare la situazione dei tanti lavoratori «anziani» ma ancora lontani dal traguardo della pensione.

I dettagli dell’intervento per i pensionati più poveri sono ancora tutti da definire. Ma a Palazzo Chigi gli esperti economici di Matteo Renzi hanno già un quadro abbastanza chiaro. Una possibilità è quella di estendere la platea dei pensionati che beneficiano della cosiddetta quattordicesima mensilità: oggi sono circa 1,2 milioni, ovvero quelli che hanno un reddito pensionistico annuo di circa 10 mila euro l’anno. Attualmente l’assegno ha un importo che varia – a seconda degli anni di contributi previdenziali versati – da 336 a 506 euro. Per raddoppiare il numero dei beneficiari, comprendendo anche pensionati con un reddito un po’ più alto della soglia attuale, servirebbe almeno un miliardo di euro. C’è anche la possibilità di aumentare (sempre in rapporto all’anzianità contributiva) l’importo dell’assegno. Non è detto che sia in alternativa, così come l’aumento della «no tax area» per i pensionati, ovvero la fascia di reddito su cui non si pagano tasse. Un intervento che si tradurrebbe in un aumento dell’assegno netto per tutti i percettori di pensione. Oggi l’area esente da tasse per i pensionati è inferiore a quella dei lavoratori dipendenti, ma una parificazione totale costerebbe quasi 3 miliardi.

L’altro capitolo è l’anticipo previdenziale. Qui in realtà i termini del problema sono già stati indicati a suo tempo dal governo: l’operazione per anticipare l’uscita in pensione può riguardare in tutto 150 mila lavoratori ogni anno, massimo 350 mila nel primo triennio. Come confermano a Palazzo Chigi, l’«Ape» resterà un prestito con rimborso ventennale e riguarderà chi ha compiuto 63 anni con almeno 20 di contributi versati. Ma accanto all’«Ape», per favorire l’uscita morbida dal mondo del lavoro a un numero più ampio di lavoratori relativamente prossimi alla pensione, si stanno pensando altre misure. Ad esempio, rendere gratuite o quasi gratuite le «ricongiunzioni» di carriere contributive versate a gestioni pensionistiche diverse in momenti diversi della vita lavorativa, agevolazioni per chi ha svolto lavori usuranti, e uno speciale bonus contributivo per i «precoci», ovvero chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni. Ma a meno di sorprese positive, che sia il sindacato che il mondo degli industriali accoglierebbero con grande favore, è possibile che queste altre scappatoie di flessibilità pensionistica siano a maglie assai strette. A quanto ha fatto sapere a suo tempo Palazzo Chigi, non ci sarebbe l’intenzione di superare comunque vadano le cose il tetto dei 150 mila pensionamenti agevolati.

 

 

 

Una risposta

  1. Io sono un così detto precoce perso che per un lavoratore 40 anni di contribuzione siino abbastanza consideriamo che dopo aumenterebbero le malattie e quanto costerà all’imps?

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